Finanza alternativa e startup: dove arrivano i capitali

27/05/2025
APPROFONDIMENTI

La finanza alternativa rappresenta una risorsa crescente per il finanziamento dell’innovazione in Italia. Strumenti come equity crowdfunding, venture debt, convertibili, SAFE, minibond orientati alle startup e fondi VC pubblici o misti hanno integrato – e in parte sostituito – il tradizionale capitale di rischio. Tuttavia, l’accesso a questi canali non è uniforme: esistono squilibri geografici, settoriali e per stadio di sviluppo che condizionano fortemente dove arrivano i capitali, e dove invece l’ecosistema resta sottocapitalizzato.

Geografia del capitale: Nord sì, Sud a fatica

Secondo i dati più recenti pubblicati da CDP Venture Capital e AIFI, oltre l’80% degli investimenti in startup italiane si concentra in Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Piemonte. Il Mezzogiorno resta marginale, anche nei round seed, nonostante la presenza di misure del PNRR e fondi di co-investimento regionali.

I motivi sono molteplici: la carenza di incubatori strutturati con track record, la debolezza dei team imprenditoriali nel fundraising equity-based, e una maggiore avversione al rischio da parte degli investitori locali. Di conseguenza, le startup meridionali ricorrono più frequentemente a finanza agevolata (es. bandi Invitalia, Smart&Start) o credito bancario tradizionale, rimanendo fuori dal radar del capitale di rischio privato e dei veicoli alternativi.

Settori favoriti e settori trascurati

Gli investitori tendono a concentrare risorse su verticali ad alta scalabilità e più facilmente exitabili, come fintech, SaaS B2B, healthtech e intelligenza artificiale. Al contrario, settori come agritech, manifattura avanzata, hardware e cultura sono spesso sottorappresentati nei deal flow.

Le ragioni vanno dalla percezione di minore scalabilità alla difficoltà di strutturare exit chiare e valutazioni appetibili per i fondi. In questi ambiti trascurati, alcune startup stanno cercando percorsi alternativi come il venture debt garantito, project financing early-stage o minibond supportati da Confidi, CDP o SACE. Tuttavia, questi strumenti richiedono strutture tecniche complesse e advisory qualificato, il che li rende accessibili solo a una minoranza.

Lo stadio della startup: chi raccoglie, chi resta escluso

L’Italia presenta un ecosistema polarizzato. I round seed e pre-seed sono sostenuti principalmente da capitali pubblici (Smart&Start, Fondo Acceleratori CDP) e crowdfunding. I round Serie A e B restano scarsi e concentrati, mentre il growth capital è quasi esclusivamente appannaggio di fondi esteri o operazioni one-off.

Nel contesto della finanza alternativa, il venture debt sta emergendo, ma resta riservato a startup con ricavi ricorrenti, unit economics chiari o EBITDA positivo. I convertibili e SAFE sono strumenti diffusi tra business angel e micro-VC, ma richiedono una buona comprensione da parte dei founder e dei loro advisor.

I minibond per startup sono ancora poco frequenti, ma alcune operazioni iniziano ad affacciarsi sul mercato. In genere richiedono l’intervento di un advisor esperto, la costituzione di SPV o strutture a garanzia (es. co-sottoscrizione da parte di fondi pubblici, SACE o Confidi) e covenant minimi.

Il ruolo della policy pubblica: acceleratore o tappo?

Le iniziative pubbliche, in particolare quelle di CDP Venture Capital e i fondi collegati al PNRR, hanno aumentato significativamente le risorse disponibili per le startup italiane. Tuttavia, permangono diversi limiti.

Le procedure di accesso sono spesso complesse e scoraggiano i team meno strutturati. Il vincolo del matching privato, spesso richiesto per l’attivazione dei fondi pubblici, penalizza le realtà periferiche dove i co-investitori sono assenti. Inoltre, i tempi di valutazione e di erogazione possono risultare incompatibili con i cicli rapidi delle startup.

Tra gli strumenti pubblici più rilevanti si segnalano il Fondo Acceleratori, il Fondo Rilancio Startup, e il Fondo Nazionale per il Trasferimento Tecnologico, quest’ultimo particolarmente rilevante per spin-off universitari e centri di ricerca.

Conclusione: dove intervenire

Per ridurre i divari nell’accesso alla finanza alternativa, è necessario agire su più livelli. Innanzitutto, servono veicoli più flessibili, come strumenti di revenue-based financing o modelli di venture debt semplificato, per startup con cicli di crescita meno lineari. Occorre poi promuovere modelli di underwriting locale, attraverso fondi regionali o Confidi evoluti, capaci di valutare anche progetti non digital-native.

Sarebbe utile inoltre promuovere percorsi di formazione tecnica per founder e advisor su strumenti di finanza alternativa, e standardizzare la documentazione contrattuale per accelerare i tempi di chiusura. Infine, una maggiore integrazione tra strumenti pubblici e investitori privati – su base realmente collaborativa e trasparente – è necessaria per rendere scalabile l’intero ecosistema.



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