Tra 2020 e 2021, in piena pandemia, le banche hanno garantito alle imprese italiane prestiti per circa 200 miliardi di euro. Un risultato frutto di molto lavoro e delle garanzie offerte dal governo (moratorie, prestiti garantiti, blocco dei licenziamenti, cassa integrazione rafforzata) che hanno consentito alle aziende di continuare ad accedere al credito di banche e istituti finanziari. L’Europa però ha già dimostrato dei segni di insofferenza e la fine di questo sostegno indiscriminato sembra essere ormai vicina. Con quali conseguenze? E’ difficile al momento prevederlo con certezza.
Lo spettro di un nuovo ‘credit crunch’
La nuova stretta sul credito bancario si presenterà sotto forma di un amento dei tassi di interesse, un progressivo irrigidimento dei criteri di valutazione e un inasprimento delle condizioni richieste per accedere al credito.
Nel frattempo è entrata in vigore una nuova definizione di ‘non performing loans’, i crediti in sofferenza. Secondo la nuova norma, se l’ammontare dell’arretrato è rilevante, basta lo sconfinamento per più di 90 giorni sulla singola obbligazione perché l’azienda venga dichiarata in default. Per essere considerato ‘rilevante', il debito deve essere contemporaneamente superiore a 100 euro (per le esposizioni fino a un milione di euro e a 500 euro per quelle che vanno oltre) e superiore all’1% del totale delle esposizioni verso la banca.
Più rigide sono anche le regole per il rientro al saldo del debito, visto che l’impresa deve essere monitorata per altri 90 giorni prima di poter recuperare il suo status di ‘solvibile’. Questo significa che le aziende con piani chiari e una solida struttura torneranno ad essere premiate rispetto alle OMI e start up che non possono fornire lo stesso livello di garanzia.
Un’altra causa di possibile ‘credit crunch’ è l’assenza di conoscenza e fiducia reciproca tra banche e piccole e medie aziende. Questo infatti è uno dei motivi per cui Pmi e startup subiscono spesso questa stretta. E’ importante però anche ricordare che (paradossalmente) se il prestito è piccolo non conviene alla banca, che quindi sarà meno propensa all’erogazione. Per via dei processi articolati e poco digitalizzati, il margine di contribuzione sulla concessione al credito è infatti molto scarso. Un report del network Kpmg ha evidenziato come prestiti sotto i 50.000 euro costituiscano per le banche tradizionali una perdita a bilancio.
La finanza alternativa come via d’uscita
L’unico modo per sopravvivere alla stretta sul credito, quindi, è diversificare le fonti di finanziamento. Per fortuna le possibilità non mancano. Il mercati italiani del crowdfunding e crowdinvesting sono in crescita continua e gli osservatori assicurano che il 2022 sarà un ulteriore anno di boom per la finanza alternativa.
E’ un dato molto positivo anche che le aziende, e le Pmi in particolare, si affidino con sempre maggior fiducia agli strumenti della finanza alternativa. Secondo il 4° Report sulla Finanza Alternativa per le Pmi realizzato dal Politecnico di Milano, nel 2021 questi strumenti hanno finanziato le Pmi per oltre €4 mld, con un incremento vicino al 60% rispetto all’anno precedente.
Tra le diverse forme di finanza alternativa prese in considerazione rientrano venture capital, private equity, invoice trading, minibond e crowdfunding.
E proprio sul crowdfunding emergono numerosi dati interessanti che vale sicuramente la pena approfondire.
Il report prende in considerazione tutti i dati di raccolta fino al 1° semestre del 2021 e gli andamenti risultano significativamente in crescita. Partendo dal dato generale, le diverse tipologie di crowdfunding hanno generato un volume di raccolta di circa 504 milioni di euro nel periodo luglio 2020 – giugno 2021, con un tasso di crescita del 172% rispetto ai 12 mesi precedenti.
L’equity crowdfunding non immobiliare ha registrato una raccolta pari a 93,3 milioni di euro, con una crescita del 63% rispetto al periodo omologo. A queste cifre si aggiungono gli oltre 34 mln di euro (+ 76%) raccolti dai portali specializzati nel settore immobiliare, portando il totale del comparto alla cifra record di 126 milioni.
Alcune possibili soluzione alla stretta sul credito sembrano quindi esserci ed è ottimo registrare che le aziende ne sono sempre più consapevoli.